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Aznavour

Ho tradotto Charles Aznavour nel 2010 a Festivaletteratura.

Ci sono arrivata molto emozionata, perché sono cresciuta con la sua musica, come tanti di noi che hanno vagato sin da giovani tra l’Italia e la Francia. C'era con me persino la mia mamma, che non poteva perdersi un simile evento, lei che le sue canzoni le ha cantate tutta la vita. Ricordo bene l’attesa: mi chiedevo come sarebbe stato quel momento, cosa gli avrei detto, come avrei trattenuto l'emozione.

E poi quando è arrivato ai piedi del palco era così esile e frastornato, così fermo e fragile dietro gli occhiali scuri, così spaventato da quell'assedio di gente, che tutto quello che sono riuscita a dirgli è stato "Ha bisogno di qualcosa?". E tutto quello che lui mi ha risposto è stato "Sì, per favore, un bicchier d'acqua". Così gli ho portato un bicchier d'acqua e ho capito che l'unica cosa che aveva un senso era restare in silenzio e proteggerlo, lasciargli il tempo di sedersi e respirare; perché non volevo che si sentisse assediato, perché sentivo il suo bisogno di aria intorno. E sono rimasta accanto a lui così, tenendo la gente a distanza per un po', perché si riprendesse prima di affrontare il pubblico e cominciare a parlare. E anche dopo, mentre lo traducevo, sentivo addosso questo impegno di protezione, per quell'uomo straordinario e vecchio, le sue parole lente, la forza che usciva da lui senza nessun bisogno di urlare. Parlava degli armeni, del suo popolo martoriato dalla storia e da troppe ingiustizie. E ogni tanto la sua voce s’impennava, ogni tanto tuonava l’uomo piccolo che cantando dai palchi di tutto il mondo aveva scosso, per tutta la vita, vite compiute e composte. E io, vicino a lui, non pensavo più che avevo accanto Aznavour: volevo solo servire quella forza e quella fragilità, perché tradurre è un modo per permettere a un altro di esserci come vuole lui, e non solo trasmettere le sue parole.

Ripensando oggi a quell’incontro capisco che soprattutto gli ho voluto un gran bene, a quel signore garbato, esile e potentissimo. Gli ho voluto solo bene, in realtà; e sono contenta di non aver detto e di non aver fatto nulla di quello che avevo pensato prima.

Di quel giorno non serbo autografi, né foto da incorniciare, né frasi mirabolanti. Solo un buongiorno gentile, un bicchier d'acqua portato a un uomo che aveva sete, e la mia voce che traduce la sua, facendole da specchio, e da scudo.

Non lo dimenticherò mai.

Bon voyage, Monsieur Aznavour.





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