Ieri, per la terza volta, ho incontrato e tradotto Manuel Vilas.
I suoi due libri recenti - "In tutto c'è stata bellezza" e "La gioia, all'improvviso" - sono stati per me la rivelazione letteraria più straordinaria degli ultimi anni.
Se non sapete come si parla del dolore, leggete Vilas. Se non sapete come dire la nostalgia, se non sapete cosa farvene di certi ricordi appuntiti che continuano a imbruttirvi le giornate, se non sapete in cosa trasformarli perché vi rendano migliori, leggete Vilas.
La bellezza e la gioia - i titoli dei suoi libri - non stanno soltanto dove tutti se le aspettano: quando tutto fila liscio, quando tutti quelli che amiamo sono con noi, quando la vita scorre in una perfetta sincronia di presenze, conquiste, soddisfazioni.
Manuel Vilas ci mette spietatamente davanti alla scelta che ognuno si trova a fare di fronte alle avversità. Quando la vita ci convoca a decidere, in mezzo a mille inciampi, dove guardare, cosa fare delle rovine dietro e dentro di noi, dove dirigere i nostri prossimi passi.
E così, evocando le perdite senza paura di chiamarle rimpianti, evocando la sofferenza senza paura di chiamarla malattia, o depressione, Vilas ci forza a guardare l'orizzonte e a illuminarlo, con la generosità di quelli che dal dolore ci sono passati davvero, e non si nascondono, non lo edulcorano, non lo abbelliscono. Ma nemmeno lo tengono lì a frollare.
Se lo portano appresso e lo trasformano in attitudine alla consolazione, lo trasformano in conforto, per sé e per gli altri.
Leggiamo le sue pagine e ci sentiamo finalmente esonerati dall'apparire seduttivi e scaltri, ci sentiamo fragili come lui, impauriti come lui, soli come lui.
Ma anche, alla fine, muniti di un prezioso salvacondotto: la possibilità di trovare bellezza nella paura, nella perdita, persino nella colpa. La possibilità di trovare bellezza in tutto.
Forse non felicità. Ma senso.
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